"Asini senza cuore", in:
R. Arena, M.P. Bologna, M.L.Mayer, A. Passi (eds.)
Bandhu. Scritti in onore di Carlo Della Casa in occasione del suo settantesimo compleanno
Alessandria, Ed. dell'Orso, 1997, pp. 605-616


Asini senza cuore (*)
(Vermondo Brugnatelli — Milano)


    Nel vasto mondo delle culture a tradizione orale, capita spesso di riconoscere, all'interno di fiabe e racconti, motivi e a volte intere trame condivisi da culture anche assai distanti, nel tempo e nello spazio. Anche quando i confronti appaiono palesi, è però quasi sempre impossibile determinare il "percorso" di un racconto o di un motivo fiabesco rilevato in diverse tradizioni.
    All'interno dell'immenso patrimonio di racconti tramandati dai Berberi del Nordafrica si possono riconoscere molteplici filoni, che si ricollegano ai più antichi motivi mediterranei e ai racconti dell'antico Egitto, (1) alle storie cananee e classiche (probabilmente giunte attraverso le colonie fenicie e greche e il dominio romano),(2) ai racconti del mondo arabo-islamico (in particolare le "Mille e una notte", (3) e molte tradizioni religiose), e perfino del mondo indiano (con la possibile mediazione di traduzioni, come Kalila e Dimna(4) senza trascurare gli influssi giudaici, (5) e perfino, in molti casi, sorprendenti ma innegabili connessioni con tradizioni italiane e addirittura centro-europee come le fiabe dei fratelli Grimm.(6)
    Un discorso a sé meritano, in particolare, le favole a sfondo gnomico, perlopiù di animali. Qui la morale, il nucleo sapienziale, prevale spesso sull'intreccio narrativo, e data l'universalità di molti dei valori che esse tramandano, capita ancora più spesso di incontrare tematiche analoghe o identiche nelle aree più disparate. Sono innumerevoli i racconti berberi in cui si possono ritrovare echi delle favole di La Fontaine (7) e, prima di lui, Fedro ed Esopo.  E' sempre in questo stesso ambito che si possono trovare i confronti più numerosi con tradizioni indiane, in primo luogo col Pañcatantra.

    Per limitarci a questa raccolta, (8) riepilogo brevemente i motivi già presenti nel Pañcatantra che ho rilevato in una raccolta di 121 racconti berberi (9) (che non esaurisce certo l'immenso patrimonio narrativo nordafricano, ma che pure, per varietà di temi e dispersione geografica, possiamo considerare un campione significativo):
    1) La storia della pulce e del pidocchio (Pañc. p. 45; Fiabe..., II.18, motivo presente anche in Libano e nelle fiabe dei fratelli Grimm);
    2) La tartaruga che, portata in alto nel cielo da un uccello, "parla troppo" e finisce per cadere: (Pañc. p. 45; Fiabe..., I.47)(10) ;
    3) Lo sciacallo che cerca di imbrogliare il leone, accusando poi un altro della sua colpa (Pañc. p. 58; Fiabe..., III.12);
    4) La coppia Astuto/Sciocco (= Dharmabuddhi /Dus't 'abuddhi, Pañc. p. 63; Fiabe..., II.10, III.23);
    5) Un disonesto che sostiene che un topo avrebbe "mangiato" una grossa quantità di ferro affidatagli ma alla fine viene smascherato (Pañc. p. 67; in Fiabe..., I.31 è diventato un'avventura del ciclo di Juhà ed ha un finale un po' diverso. Ma esistono anche versioni più prossime a quella indiana) (11);
    6) Il gatto asceta/pellegrino (Pañc. p. 112-3; Fiabe..., II.21);
    7) Il detto che una ferita si cicatrizza, mentre le ferite causate dalla lingua non cicatrizzano (Pañc... p. 114; Fiabe... III.32. Il detto proverbiale è comunque diffuso in tutto il Nordafrica).
    Mi sembra importante ricordare, inoltre, come il tema dell'assemblea degli uccelli, che si contendono il primato a suon di aforismi e bei ragionamenti (che occupa gran parte della "cornice" del terzo tantra) sia estremamente sviluppato e radicato in Cabilia, dove si conoscono numerose versioni di "assemblea degli uccelli", (12) e addirittura si identificano nei volatili le anime dei giusti defunti, che si riuniscono in una "sublime assemblea" quando vi sia da prendere qualche decisione importante per i viventi.(13)

    Tra tutte le coincidenze rilevate, particolare attenzione ha destato in me una fiaba tuareg, che qui riporto per esteso, "Il leone e l'asino": (14)
    «Una volta tutti gli animali selvatici che vivono nella savana si trovavano in uno stesso posto, insieme al loro re, il leone. Costui, andando in giro, uccise un asino veramente molto robusto. Lo portò quindi indietro e lo gettò in mezzo a loro, dicendo: "Chi di voi me lo scuoierà, mi preparerà la carne e mi tirerà fuori i pezzi migliori? Però, se ne mangerà anche solo un pezzetto io me ne accorgerò e lo ucciderò. Gli darò io stesso la sua ricompensa".
    Dopo questa premessa, tutti gli animali selvatici dicevano di non essere in grado.
    Saltò fuori lo sciacallo, che disse: "Per me va bene, solo, mettimelo laggiù, in un posto in cui tu non mi possa vedere". Il leone portò l'asino in un luogo dove non lo si potesse vedere, e lo sciacallo lo aprì, ne estrasse il cuore e se lo mangiò. Dopo avere estratto e mangiato il cuore, scuoiò l'asino, preparò la carne, lo smembrò e dispose per bene ogni pezzo.
    A questo punto chiamò tutti gli altri, dicendo: "Venite!" Vennero tutti, e tra essi il leone, che gli chiese: "Dov'è la tale parte?" "Eccola qui".
    "Dov'è quest'altra parte?" "Eccola qui".
    "Dov'è quest'altra parte?" "Eccola qui".
    "Dov'è quest'altra parte?" "Eccola qui".
    Alla fine chiese: "E il cuore, dov'è?" "Il cuore, se ne avesse avuto uno, nemmeno tu avresti potuto ucciderlo! Adesso dammi la mia paga".
    Fu così che tutti gli animali selvatici seppero che non tutti gli asini hanno un cuore, perché un asino forte come quello, se avesse avuto cuore, nemmeno il leone avrebbe osato misurarsi con lui. Era stata l'assenza del cuore che lo aveva reso possibile.»

    Questo racconto è evidentemente connesso con uno presente tanto nel Pañcatantra che nel Kalila e Dimna, in cui agiscono sempre un leone, uno sciacallo e un asino. Per comodità riporto qui la versione araba (Ibn al-Muqaffa' 1991: 189-91), in quanto meno frammentaria dell'originale indiano, cui peraltro corrisponde quasi perfettamente (15):
    «Raccontano che un leone viveva in una boscaglia insieme con uno sciacallo che si nutriva degli avanzi delle sue prede. Il leone fu colpito gravemente dalla scabbia e si indebolì tanto da non potere più cacciare. Lo sciacallo gli disse: "Che hai o re degli animali? La tua salute è cambiata e la caccia diminuita. Che ti è successo?" Il leone rispose: "La causa è questa scabbia che vedi e che può essere curata solo con le orecchie ed il cuore di un asino".
    "So di un pascolo qui vicino —disse lo sciacallo— dove un lavandaio viene col suo asino, carico di vestiti da lavare. Quando l'uomo scarica l'asino e porta i panni nel lavatoio acciufferò l'asino e te lo porterò, così potrai avere le sue orecchie e il suo cuore".
    "Se hai deciso così —disse il leone— affrettati, poiché ne va della mia salute".
    Lo sciacallo se ne andò dall'asino e gli disse: "Come mai sei così scarno e hai il dorso pieno di piaghe?".
    L'asino rispose: "Il mio padrone è questo lavandaio cattivo che mi dà foraggio andato a male e mi fa affaticare caricando il mio dorso." "Come fai a sopportare tutto ciò?", chiese lo sciacallo. E l'asino: "Che altro posso fare e dove posso andare per fuggire gli uomini?".
    Lo sciacallo rispose: "Ti indicherò io un luogo isolato, un prato fertile inesplorato dall'uomo, in cui vive un'asina così bella e perfetta che la gente non ne ha mai viste come lei. Oltretutto quest'asina vorrebbe uno stallone". L'asino, incantato dalla descrizione dell'asina, disse: "Cosa aspettiamo, andiamo!".
    Così, si diressero insieme verso il leone; lo sciacallo arrivò per primo e lo informò di tutto. Questi balzò da dietro sul dorso dell'asino ma non riuscì ad acchiapparlo e quello scappò.
    "Che hai fatto?—chiese lo sciacallo al leone. —Se hai lasciato adare l'asino di proposito, perché hai insistito che io andassi a cercarlo? Se invece non sei riuscito ad afferrarlo, la cosa è ancora più grave perché siamo rovinati se il nostro re non riesce a catturare neanche un asino".
    Il leone sapeva bene che se avesse detto "l'ho lasciato deliberatamente", lo sciacallo gli avrebbe dato dello stupido; se invece avesse detto "non sono riuscito ad acchiapparlo per debolezza", gli avrebbe dato dell'incapace. Allora disse: "Se riuscirai a riportarmi l'asino, ti dirò perché l'ho fatto".
    Lo sciacallo pensò: "L'asino mi ha già gabbato una volta, ma ora tornerò da lui e cercherò di metterlo nel sacco come meglio potrò".  Tornò quindi dall'asino, che gli chiese: "Che vuoi da me?". E lo sciacallo: "Voglio farti del bene, ma a volte la libidine e la passione danneggiano la prodigalità. È l'asina di cui ti avevo parlato che ti è saltata addosso perché è in calore. Se solo tu avessi aspettato un po' sarebbe passata sotto di te".
    Quando l'asino sentì nuovamente parlare dell'asina, perse la testa e tornò indietro con lo sciacallo: stavolta il leone balzò su di lui e lo catturò. Dopo averlo sistemato, disse allo sciacallo: "Il rimedio consiste nel compiere l'abluzione, poi mangiare le orecchie e il cuore dell'asino e dare il rimanente in offerta. Custodisci quest'asino finché sarò di ritorno, dopo avere compiuto le abluzioni".
    Andato via il leone, lo sciacallo mangiò le orecchie ed il cuore dell'asino nella speranza che il leone ne avrebbe tratto un cattivo augurio e che non avrebbe mangiato quel che restava.
    Al suo ritorno, il leone domandò allo sciacallo: "Dove sono il cuore e le orecchie dell'asino?".
    Lo sciacallo rispose: "Non hai notato che quest'asino non ha né cuore né orecchie?".
    E il leone disse: "Sono le parole più sorprendenti ch'io abbia mai udito".
    "Se egli avesse avuto cuore e orecchie —replicò lo sciacallo— non sarebbe tornato da te dopo quel che gli avevi fatto".
    Come si può vedere, la versione tuareg, pur rimandando senza dubbio a un racconto simile a quello indiano, ha perso molto del contorno originale. Mancano sia il motivo della necessità di mangiare il cuore (e le orecchie, altro dettaglio sparito), sia la serie di eventi che portano a concludere che l'asino è "senza cuore". Qui abbiamo solo, sbrigativamente, l'affermazione che questo asino era "veramente molto robusto", per cui l'assenza di cuore andrebbe semplicemente spiegata come mancanza di "coraggio".
    Ciò si spiega bene se si pensa che presso i Tuareg sede dell'intelligenza è la testa, più che il cuore: éghef ennit yemira "la sua testa è aperta (= è intelligente)" è praticamente sinonimo di taytté nnit temira "la sua intelligenza è aperta (= è intelligente)", mentre con lo stesso verbo ul ennnit yemira varrebbe "il suo cuore è aperto (= è franco e sincero)" (Foucauld 1952: IV, 1552).  Il cuore (ul) è la sede di sensazioni come coraggio/timore, gioia/dolore, piacere/collera (ivi,  III, 981, voce oul, nonché I, 20, verbo ebded, 391, v.bo egged, III, 1138, v.bo emmet, 1378, v.bo enker).
    Il cuore è visto come sede di sensazioni razionali nei territori berberi più a nord, per esempio in Cabilia, dove è al fegato che si affida prevalentemente la nozione di sede dei sentimenti irrazionali, in particolare dell'affetto e dell'amore.(16)
    Nonostante il cambiamento del protagonista, assai più vicino alla tradizione indiana è il seguente racconto proveniente proprio da questa regione (Allain 1976: 52-55):
        LA SCROFA, LO SCIACALLO E IL LEONE
    C'erano uno sciacallo ed un leone. Il leone disse: "Voglio stare con te: noi due resteremo insieme". Rispose lo sciacallo: "Ma io ho paura di te" "Perché?" "Ho paura che tu mi divori" "Giuro di non mangiarti, a meno che tu non faccia qualcosa per meritartelo".
    Giurarono, e a quei tempi i giuramenti avevano valore!
    Un giorno, però, il leone si accorse di avere voglia di mangiare, e temette di venir meno al suo giuramento. Si disse: "Adesso avrei proprio voglia di mangiare qualcosa: vorrei della carne..."
    Lo sciacallo capì che se non gli avesse portato qualcosa da mangiare, avrebbe divorato lui.
    Uscì e trovò (con rispetto parlando) una scrofa che pascolava nella foresta. Le disse: "Cara scrofa!" "Sì?" "Non lo sai? Tuo zio leone è ammalato e tutti gli uccelli dei campi sono andati da lui, tranne te. Manchi proprio solo tu. Fa' presto o vedrai cosa ti farà!" "Non lo sapevo".
    La scrofa allora si diresse verso la tana, e stava per entrarci ma non appena la vide il leone balzò su di lei e l'afferrò per un'orecchia. Essa puntò forte con le zampe e riuscì a sottrarsi alla presa, mettendosi in salvo.
    Lo sciacallo, che era rimasto ad osservare sulla soglia della grotta, disse: "Cos'è successo? perché sei tornata indietro?" "Ah, figliolo, è balzato su di me e mi ha colpita ad un'orecchia! E tu dicevi che era malato!" "Ma dai! Voleva solo appenderti un orecchino! Va', da brava, torna da lui!"
    E così la scrofa fece ritorno...
    Il leone la abbatté con un sol colpo, la squartò e la uccise. Chiamò quindi lo sciacallo e gli disse: "Vieni, sciacallo, falla in pezzi e dammi il suo cuore da mangiare!" Lo sciacallo la prese per levarle la pelle, e quindi le estrasse il cuore e se lo mangiò lui. Tornò dal leone e gli diede la scrofa dicendogli: "Ecco, mangia pure." E se ne andò.
    Al leone bastò un'occhiata per capire che mancava il cuore, e quindi chiese: "Com'è questa storia? Io voglio il cuore!" "Caro leone, costei non aveva cuore." "Eh? C'è qualche essere vivente che sia privo di cuore?" "Se avesse avuto un cuore, sarebbe tornata una seconda volta dopo che tu l'avevi colpita una volta? Doveva proprio essere senza cuore."
    Questa storia è per coloro che non hanno discernimento (lmucrifa): appena sono scampati ad una brutta avventura, subito ritornano nella stessa disavventura: non hanno dignità (ennif), non hanno cuore (ul).
    Anche se qui l'animale privo di "cuore" è diventato un suino (oggi all'ultimo posto nella scala dei valori nel Maghreb musulmano), (17) mi sembra indicativa l'insistenza con cui si sottolinea come nel primo assalto del leone fosse stata afferrata un'orecchia dell'animale. (18) Proprio le lunghe orecchie sono infatti una delle caratteristiche più notevoli dell'asino, (19) e ad esse fa esplicito riferimento la versione indiana, dove si osserva che anch'esse "mancano" allo stolto animale (e qui il paradosso è evidente, giacché è difficile non vederle), alludendo alla mancanza della capacità di "udire" (20), di rendersi conto della realtà.  
    Così nelle Upanis'ad, al momento di esporre le sedi delle facoltà dell'uomo, con cui viene identificato il Brahman, l'orecchio/udito, shrotra,  viene elencato insieme alla mente, manas, e il cuore, hrdaya (e dopo la parola, va:c, il respiro,  pra:n'a, e la vista, caks'us).  Chi agisce senza tener conto dei dati dell'esperienza e senza ragionare non può considerarsi un individuo completo  e può essere paragonato all'asino del racconto. Non a caso, è frequente il paragone asinino nei giochi, per quanti non si mostrano dotati della necessaria abilità e scaltrezza. Presso gli antichi Greci, in alcuni giochi (ouranía, ostrakínda, ephedrismós, en kotyle:, sphaíra), il vinto, chiamato ónos,  doveva obbedire agli ordini del vincitore, basiléus, e portarlo in groppa. Pratiche analoghe sono segnalate ancor oggi in Nordafrica: nell'Aurès vi sono dei giochi che prevedono per il perdente la penitenza di portare in groppa l'avversario (elmerkub, tarkubkt : Basset 1961: 122, 124); è indicativo che tale usanza sia ancora molto diffusa nell'ambito degli indovinelli: nel Rif, nel Marocco centrale e in Cabilia chi non riesce a indovinare viene trattato da "asino" e/o invitato a "portare sul dorso" (sia pure solo simbolicamente) l'avversario; (Bentolila 1986, vol 1, p. 24 e 77; vol. 3., p. 372-3).
    Per tornare alla nostra storia, molti indizi, e in particolare la stretta aderenza della versione berbera del Nord al testo indiano (e alla sua versione araba) potrebbero far ritenere che vi sia stato un imprestito in epoca relativamente recente, comunque successiva alla traduzione di Ibn al-Muqaffa'.
    L'esperienza insegna, però, che, trattando di favole, è spesso rischioso trarre conclusioni affrettate. Alcuni indizi mi inducono, anzi, a ritenere ben più antica la diffusione dell nostra storia in Nordafrica.
    Innanzitutto, in Nordafrica essa era probabilmente già nota in epoca numidica, se è vero che il motivo di un leone che assale un asino compare già tra le figurazioni dipinte ad ocra in un hanut (23), quello di Ben Yasla H6/84 (cf. M. Longerstay 1993: 48-9). Dall'illustrazione relativa (fig. 14, p. 25), si può notare che, benché l'autrice si limiti a parlare di "un fauve sautant sur sa proie", il "fauve" è senza dubbio un leone, ben riconoscibile per la criniera, mentre la preda è chiaramente un equide, e le lunghe orecchie fanno capire che deve trattarsi di un asino.(24)   
    Inoltre, è proprio in questa zona che capita di trovare già dall'antichità forti indizi dell'esistenza di un racconto simile.
    Riguardo all'area mesopotamica, siro-palestinese e araba, in cui non è dato di trovare esplicito rimando, in favole o detti proverbiali, a vicende in cui l'asino si mostri "senza cuore", (25) non possiamo stabilire con certezza nulla. Viceversa, è assai verosimile che il territorio in cui vada cercata l'origine ultima di questo racconto didascalico sia l'Antico Egitto. Qui, infatti, non solo l'asino è l'animale stolto per antonomasia ed il cuore è in prima istanza la sede dell'intelletto, ma inoltre si trovano con estrema frequenza espressioni come "è privo di cuore" o "non ha cuore nel suo corpo" per indicare mancanza di raziocinio e di voglia di apprendere, sia in riferimento ad asini sia in riferimento a persone. Tipico è il richiamo che compare nei testi di istruzione: (26)
«Sei dunque un asino? Ti farai guidare dagli altri! Non hai un cuore nel tuo corpo!» (pap. Anastasi V, 10.7-8)
«Sei dunque un asino che si fa guidare dagli altri e non ha un cuore nel suo corpo?» (pap. Sallier I, 3.9)
«Non essere un uomo 'senza cuore', che non ha ricevuto un'istruzione!» (pap. Bologna 1094, 3.6)
    Per questo, anche se nei numerosi racconti di animali che sono noti dall'antico Egitto non si è trovata espressamente una favola analoga a quella del Pañcatantra(27) mi sembra assai probabile che anche nella valle del Nilo essa fosse ben presente, e chissà che proprio da qui sia partita, in epoche antichissime, per essere accolta e assimilata ad ovest nella cultura nordafricana e ad est in quella indiana.



RIFERMENTI BIBLIOGRAFICI:



Leone+asino
Un leone aggredisce un asino (hanut  di Ben Yasla, Tunisia, H 6/84, foto di M. Longerstay).  Una zampa anteriore del leone sembra afferrare la preda per un'orecchia





NOTE

(*)  La prima volta che udii parlare, all'università, di Kalila e Dimna non fu durante un corso di letteratura araba, ma durante un corso di sanscrito, nel quale Carlo Della Casa trattava il passaggio di elementi culturali dall'India in occidente, tramite —perlopiù— la cultura arabo-islamica. Per questo mi è oggi grato, in una raccolta di studi in suo onore, affrontare un argomento connesso con questa celebre raccolta di racconti.
(1)  P. es. il motivo della lotta tra gatti e topi, in Brugnatelli 1994 (d'ora in avanti = Fiabe...) II parte, n° 21, o il racconto di Verità e Menzogna (ivi, III parte, n° 23, nonché I. 26 e III.19).
(2)  Si veda, p es., la tradizione ugaritica di Aqhat rapito e ucciso dalle aquile e poi resuscitato, che riappare in molti racconti berberi, in particolare nella storia di Lunja. Diffuse in diverse parti  del mondo berbero sono poi le vicende di Ulisse e Polifemo (Lacoste-Duardin 1973), o la domanda della Sfinge a Edipo (si veda Bentolila 1986, pp. 27, 305-6, 344, 478), nonché la vicenda stessa del figlio parricida (Baba-s d mmi-s, "il padre e il figlio" in Awal 2 [1986], 175 ss.). Anche il mito di Amore e Psiche (non a caso ben illustrato dall'africano Apuleio) riappare, più o meno modificato, in numerosi racconti (cf. Fiabe...  II parte n°23; assai trasfigurato I parte, n°5).
(3)  Ancorché meno di quanto ci si potrebbe aspettare. Un ottimo esempio è comunque Fiabe...  I.3 (Il mercante, l'ifrit e i tre vecchi).
(4)  Sui confronti con l'ambito indiano, oggetto del presente lavoro, si veda più avanti.
(5)   Si vedano ad esempio i numerosi motivi e interi racconti rilevati anche nella tradizione yiddish in Fiabe...: parte I n°16, 20, 55 (fiaba mistica, anche di ambito sufi), 57 (addirittura un motivo talmudico), II n° 11, 14.
(6)  Per alcune fiabe e motivi, cf. ivi, parte I n° 11, 13, 14, 16, 17, 19, 40; II n° 4, 11, 18; III n° 14, 27.
(7)  Sempre per restare alla raccolta di Brugnatelli 1994, si possono vedere, ad esempio, I 45; II 16, 21; III 18, 21, 30.
(8)  Una considerazione completa dei motivi condivisi col complesso del patrimonio favolistico dell'India esorbiterebbe dallo spazio del presente lavoro e dalle mie capacità. È importante, comunque, osservare che tali motivi comuni si ritrovano numerosi anche al di fuori dal Pañcatantra (cf. p. es. le assonanze tra "Il gallo e lo sciacallo" ivi, III 21 e il racconto n°383 del VI libro dei Ja:taka).
(9)  Fiabe...; l'edizione del Pañcatantra cui si fa qui riferimento, segnalata in bibliografia, sarà abbreviata Pañc.
(10)  Un po'modificata, con integrazione di motivi africani. Inoltre, in Fiabe... III, 13 l'episodio è inserito nel quadro delle vicissitudini dello sciacallo, ed è quest'animale che cade per aver aperto bocca.
(11)  Il modo in cui qui una pretesa assurda viene ribaltata avanzando pretese altrettanto assurde è estremamente antico nella tradizione favolistica nordafricana: cfr. nell'antico Egitto la storia di "Verità e Menzogna".
(12)  Cf. Mammeri 1980:  226-257 "Le dit des oiseaux" e, per altre due versioni, la bibliografia ivi citata .
(13)  Dallet 1969: 5 ss.
(14)  Petites Sœurs (1974: 112-5, n°8 "Le lion et l'âne"), tradotto in Fiabe... pp. 448-9, n°17).
(15)  La versione del Pañcatantra (pp. 137-8) è sostanzialmente identica. Le divergenze più notevoli sono la malattia del leone, che non viene specificata ma è detta solo "una malattia incurabile", e il numero delle asine (quattro), con cui lo sciacallo alletta l'asino.
(16)  Sulle diverse connotazioni di "cuore" e "fegato" in Cabilia, cf. Belaïd (1987).
(17)  Per giustificare questo scambio, non va di menticato come nella versione indiana si insista sul ruolo dei desideri lascivi nel provocare la perdita dell'animale.
(18)  Il leone che afferra con forza le orecchie di un'asina —eco probabile della versione originale di questa favola— si ritrova in Mercier 1896: 68 ss., in una redazione però che mescola tra loro favole assai eterogenee (histoire du lion, de l'ânesse, du chacal et du hérisson), in un contesto quasi irriconoscibile. Analogamente in Fiabe... III.18.
(19)   Basterà ricordare l'uso, ancora in tempi recenti, di contrassegnare con le "orecchie di asino" gli scolari negligenti; tra ragazzi un tardo ricordo vi è nella presa in giro che consiste nell'accostare i pollici alle tempie agitando le mani, continuazione del gesto delle auriculae albae degli antichi che intendevano proprio imitare le lunghe orecchie mobili dell'asino (Nec manus auriculas imitata est mobilis albas: Persio I.59. Cf. anche Pauly-Wissowa s.v. Esel § 11, col. 645).
(20)  Questa circostanza, unita alla proverbiale sgradevolezza del raglio (il motivo dell'asino che, ricoperto da una pelle di fiera, si fa riconoscere per il suo raglio [Pañc. p. 109] era già conosciuto da Esopo e proverbiale per i Greci [Pauly-Wissowa, s.v. Esel, col. 649], ne fa anche il paradigma degli esseri insensibili alla musica. Non a caso il re Mida fu condannato da Apollo ad avere due orecchie d'asino per aver giudicato il flauto di Pan migliore della musica dello stesso Apollo (Ovidio, Met. XI, 146 ss.). Anche questo racconto della mitologia classica doveva essere diffuso in Nordafrica: nella seconda parte di Fiabe... I.8 (Aggelamush) si ritrova il motivo della divulgazione inconsapevole del segreto da parte del barbiere che se ne liberò sussurrandolo in una buca del terreno su cui in seguito crebbero delle canne il cui fruscio ripeté la notizia. Tuttavia qui il difetto fisico rivelato consiste in un paio di corna. A Ouargla (Delheure 1989, 334 ss.) vi è un analogo racconto, in cui figurano delle orecchie di cane e la rivelazione è fatta da vermi della terra. .
Raffigurazioni caricaturali di asini che suonano si hanno già nell'antico Egitto  (Brunner-Traut 1980 fig. 4) e in un sigillo di Ur (ivi: p.45).
(21)  Brhada:ran'yaka Upanis'ad  § 4, 1 (Della Casa 1976: 119 ss.).  Esula  dai limiti del presente lavoro una disamina approfondita delle concezioni indiane sui rapporti tra gli organi e le facoltà dell'uomo, e la complessa rete di relazioni e identificazioni tra microcosmo e macrocosmo che caratterizza la dottrina del Brahman-A:tman su cui insistono le Upanis'ad.  Sul ruolo fondamentale del cuore come sede dell'intelligenza si può vedere in particolare la sopracitata Br. Up., 3, 9, 19-25.
(22)  È a questa stessa mancanza di completezza della persona che allude nella fiaba berbera l'assenza di "dignità" (ennif).
(23)  Pl. hawanat = camera sepolcrale libica scavata nella roccia. La datazione ne è assai incerta. Quella più probabile sembra essere intorno al II sec. a.C. o poco dopo.
(24)  La vaghezza dell'indicazione dipende probabilmente dalla proposta dell'autrice di accostare il motivo del dipinto ad un mosaico di Mozia, in Sicilia, in cui vi è una belva (un leone?) che assale una preda, ma quest'ultima sembrerebbe piuttosto un toro.
(25)  Perlopiù l'asino compare citato come esempio di animale sfruttato e maltrattato, più raramente come esempio di stoltezza, ma comunque mai "senza cuore" (tra le numerose fonti, come il corpus della Bibbia, ricordo qui diversi proverbi sumerici e favole sull'asino in Gordon 1958). D'altra parte, in quest'area, il cuore è ovunque connotato come sede di sentimenti tanto razionali che irrazionali (al proposito rimando da ultimo a Seidensticker 1992, basato sull'arabo ma con un capitolo sugli antecedenti nel resto del mondo semitico).
(26)  Cfr. in proposito le numerose osservazioni e citazioni di Brunner (1957: 110-2 e 172-180), nonché le voci "Esel" e “Herz" nel II vol. del Lexikon der Ägyptologie, Wiesbaden 1977 (coll. 27-30 e 1158-1168).
(27)  Per un elenco completo ed aggiornato del materiale esistente, cf. Emma Brunner-Traut 1980.